La presidente di Mundi Live, la Dottoressa Margherita Chiara Immordino Tedesco, incontra Laris Gaiser, insigne professore di studi sulla sicurezza, membro dell’ITSTIME presso l’Università Cattolica di Milano e Senior Fellow al centro studi GLOBIS dell’Università della Georgia (USA). Il Professor Gaiser insegna geoeconomia e geopolitica all’Accademia Diplomatica di Vienna. Dal 2012 al 2014 ha presieduto l’Università Euro-Mediterranea EMUNI. Come editorialista scrive per diversi giornali europei e svolge regolarmente attività di consulenza a favore di governi e aziende multinazionali. Dal 2015 è membro del Consiglio di Presidenza dell’Unione Paneuropea Internazionale a Strasburgo. Tra i suoi ultimi volumi: Intelligence Economica (Aracne, 2015) ed Economic Intelligence and Global Governance – Reinventing States for a New World Order (Il Cerchio, 2016).
“L’intelligence economica va oltre la definizione dello Stato come un semplice attore economico. In un contesto internazionale caratterizzato da una continua lotta per le informazioni in cui non esistono Paesi amici, il ruolo primario per le strutture statali è quello di creare un ambiente competitivo favorevole e di sostenere le imprese nazionali nello sviluppo delle loro capacità di competizione globale. L’intelligence economica è la raccolta e la trasformazione delle informazioni, atta a effettuare scelte operative di tipo attivo e passivo. Ciò significa raccolta informativa, sorveglianza della concorrenza, protezione delle informazioni strategiche e capitalizzazione delle conoscenze con l’obiettivo d’influenzare, definire e controllare l’ambiente economico globale”. Economic Intelligence and Global Governance – Reinventing States for a New World Order (Laris Gaiser, Il Cerchio, 2016).
Viviamo in un mondo in transizione. I nuovi equilibri si stanno evolvendo da un ordine mondiale che si è creato dopo la seconda guerra mondiale, verso un nuovo ordine globale che non è ancora chiaro e che non sappiamo quando arriverà. Strada facendo, il confronto tra Stati e potenze si è trasformato.
Siamo passati da guerre cinetiche a guerre, come le chiamiamo oggi, ibride. Cioè guerre complesse; confronti tra Stati complessi che sono basati sull’utilizzo contemporaneo di mezzi sia cinetici, sia informativi o disinformativi, sia economici che diplomatici, politici e cibernetici.
Tutto ciò mischiato fa sì che lo scontro sia continuo, cosa che prima non era, perché c’era come diceva il generale Von Clausewitz, il momento della guerra e il periodo di pace e quindi i conflitti s’innescavano a continuazione di una diplomazia che utilizzava anche il mezzo della guerra. Oggi la diplomazia e la politica utilizzano tutti i mezzi in continuazione, senza un’interruzione netta tra il periodo di pace e quello di conflitto. Parte di questa guerra ibrida è rappresentata anche dal confronto geoeconomico, che in sé racchiude una particolarità difficilissima da gestire e che richiede la presenza di persone molto preparate e di sistemi altamente strutturati.
L’intelligence economica è l’operazione, lo scambio formativo, tra il sistema produttivo nazionale e lo Stato.
Da un lato, osserviamo come qualsiasi azienda mediamente strutturata ha una propria business unity che si occupa d’intelligence, pertanto produce sapere, informazioni e decisioni, basando il tutto sul proprio ciclo informativo. In questa cornice, le capacità di analisi delle informazioni, dell’ambiente esterno e dell’ambiente business hanno ora un peso inedito.
Dall’altro lato abbiamo lo Stato che, per definizione, produce informazioni, sapere e scenari attraverso il proprio sistema istituzionale, avvalendosi delle agenzie di servizi d’informazione.
Se lo Stato e le aziende cominciassero a scambiarsi queste informazioni non in modo sporadico, è chiaro che ci sarebbe un vantaggio reciproco, sia per le aziende, sia per lo Stato, perché entrambi avrebbero maggiori informazioni, maggiore capacità di analisi, maggiore capacità di posizionarsi su un mercato globale. Tutto questo permetterebbe a entrambi di fare una concorrenza più efficace ad altri sistemi geoeconomici.
Questa cooperazione consentirebbe allo Stato di fare politiche migliori a livello economico, con un beneficio concreto per l’intera comunità. Le aziende agirebbero nella consapevolezza di essere sostenute dallo Stato e potrebbero operare nei diversi mercati con più semplicità. Potrebbero quindi affrontare la concorrenza spietata di altre aziende che molto spesso sono facilitate essendo parti di sistemi non propriamente democratici, quindi autocratici, che sostengono ovviamente a spada tratta i propri rappresentanti economici in giro per il mondo.
Questa è l’intelligence economica. Stiamo parlando di una cosa fantasiosa, troppo complessa o impossibile da fare? No, stiamo parlando di un sistema che purtroppo l’Italia fatica a comprendere e a implementare, ecco il motivo per cui, da diversi anni, seguendo l’esempio del Professor Paolo Savona, il Dottor Laris Gaiser porta avanti quest’iniziativa, cercando di far comprendere alle istituzioni italiane, al mondo accademico e a quello economico, la necessità, l’urgenza, già il ritardo, dell’implementazione dell’intelligence economica all’interno del sistema economico e informativo italiano.
Non si tratta di una novità assoluta. Da tempo altri Stati hanno scelto di modernizzarsi e d’investire in questo settore. Queste sono strategie già adottate dagli Stati Uniti d’America, dal 1992 dietro decisione di Bill Clinton e dal Regno Unito, fin dal 1994. La Gran Bretagna, che per legge basa le proprie attività come fine ultimo per il benessere economico del Regno Unito, è molto più avanti di noi. Stessa cosa per la Germania che se ne occupa da sempre, anche se in una maniera non istituzionalizzata come invece accade in altri paesi. La Germania è una potenza che nasce e cresce sull’esigenza di essere competitiva nei settori dell’economia, della politica, della diplomazia e in campo militare, pertanto non è voluta rimanere fuori da questo settore.
Vi è anche la Francia, tra le nazioni virtuose. La loro esperienza potrebbe farci da paradigma, perché il loro sistema politico e sociale è molto simile al nostro. I servizi segreti francesi lavorano nell’intelligence economica e a favore di quest’ultima, per l’interesse supremo dello Stato e dell’economia francese.
L’Italia, inserita in questo quadro internazionale, non può assolutamente fare a meno di avere un insieme d’intelligence economica ordinato e quindi essere un attore non passivo del gioco geopolitico e geoeconomico contemporaneo.
Tutto è coordinato da quattro attori principali: la politica, il sistema finanziario-bancario, il sistema assicurativo e il sistema industriale.
Questi quattro poli si parlano, si scambiano le informazioni, fanno geostrategia, sono fautori di una politica che tiene conto di tutti questi fattori e ovviamente conquistano i mercati internazionali.
L’intelligence è per forza di cose un gioco delle ombre: è il sapere, non sapere; il vedere, non vedere. Quindi anche la parte dell’intelligence economica dovrà essere strutturata in maniera tale che gli avversari, cioè i concorrenti economici e di mercato, vedano e non vedano quello che l’Italia è capace di fare.
In questa scacchiera ci sono giocatori di prima linea, che sono ovviamente le aziende italiane, o aziende anche straniere ma che hanno interessi economici forti nel nostro paese e che portano benessere all’Italia. Questi attori costituiscono la frontline, ma dietro di loro serve un apparato preparato e oliato in maniera efficiente ed efficace che sia in grado di lavorare a vantaggio delle aziende. E’ importante capire che lo scambio è reciproco, perché le aziende, sapendo di avere il sostegno dello Stato, favoriscono anche il funzionamento di quest’ultimo.
Questo è il gioco delle ombre che a livello internazionale tutti comprendono, nel senso che quando un qualsiasi rappresentante italiano parla con un qualsiasi rappresentante di un’azienda cinese o russa, è perfettamente conscio che si rivolge a qualcuno che riferirà ogni cosa alle superiori autorità statali.
Perché questo non dovrebbe o non potrebbe accadere anche in Italia? E’ normale che sia così, è un fatto logico. Non dobbiamo tapparci le ali, impedendoci di volare più in alto. L’Italia è uno dei paesi che ha le più grandi potenzialità al mondo dal punto di vista tanto economico, quanto geopolitico. Purtroppo queste capacità sono malamente utilizzate.
In molti altri paesi, invece, le cose vanno diversamente. Quando si parla con un rappresentante diplomatico, per esempio francese, una volta che si arriva a trattare di questioni economiche, ci si sente dire: “La informo che da questo punto in poi attuerò secondo le regole dell’intelligence economica”. Sanno esattamente a chi stanno parlando, sanno cosa devono riportare e sanno a chi devono riportare; in buona sostanza sanno come coordinare le informazioni.
Non è pensabile che l’Italia, uno dei più grandi paesi al mondo, con una vastissima tradizione diplomatica ed economica, non sia preparata a questo tipo di sfide.
Un altro punto in cui purtroppo il nostro Paese è rimasto in dietro è quello concernente le dinamiche dei conflitti. L’Italia sembra preparata solo a raccogliere informazioni in “modalità pompiere”. Il nostro Paese, cioè, gestisce in maniera passiva attacchi stranieri, senza essere supportato da un sistema tarato per sostenere attivamente il dinamismo del sistema economico italiano all’estero.
La gran parte dell’attività d’intelligence del sistema informativo sulla parte economica è fatta su richiesta, tendenzialmente a causa di decisioni politiche prese in ritardo. Non possiamo dare la colpa a un sistema informativo che ha una legge tendenzialmente buona, ma che non è stata completata nella parte della difesa economica del paese. I servizi d’informazione italiani lavorano bene all’interno della cornice che è loro data dal sistema politico; pertanto è il sistema politico che deve decidere di fare un passo ulteriore per far sì che l’Italia abbia l’opportunità di sviluppare un’intelligence economica capace di tenere il passo con gli altri paesi.
Il nostro paese usa raramente il capitale informativo come arma offensiva e non ha una consapevolezza piena di questa nuova arma nei sistemi mondiali di riferimento.
L’Italia ha aziende che sanno usare l’arma informativa e farne buon uso, perché hanno sistemi interni propri molto efficienti, quali possono essere ENI o Leonardo (Finmeccanica); questi sono due esempi di aziende che hanno le loro intelligence unity altamente formate e altamente performanti.
E’ un peccato che vi sia un patrimonio informativo così poco utilizzato, sia a favore delle aziende, sia a vantaggio dello Stato. Se si osserva l’attuale situazione in maniera comparata, dobbiamo concludere che l’Italia sta arrancando.
Per capirlo meglio occorre osservare come l’intelligence economica divida i Paesi in tre categorie: quelli che detengono un sistema d’intelligence economica, quelli che sono disposti ad adottarne uno e quelli che, per vari motivi, non ne avranno mai uno.
Se il primo gruppo è oggi in posizione di assoluto vantaggio, il secondo, al quale appartiene anche l’Italia, dovrà colmare rapidamente le sue carenze per riuscire a essere realmente competitivo. Entrambi i gruppi potranno a loro volta sfruttare le debolezze dei Paesi non preparati e quindi destinati a perire nella competizione mondiale e a trasformarsi in terra di conquista da parte degli altri.
Nonostante esistano molte differenze nella definizione d’intelligence economica, i presupposti comuni sono sempre reperibili nella presenza costante delle pratiche, nella continuità di utilizzo delle tecniche e nella stabilità delle strategie applicate. Accettando ciò possiamo dire che gli Stati Uniti d’America, il Regno Unito, la Germania, il Giappone, la Russia, la Cina e la Francia hanno una lunga tradizione in questo campo essendo Stati che hanno dimostrato di saper plasmare una strategia geo-economica basandosi sulla propria identità culturale, storica e politica.
A livello di Commissione EAS esistono delle unità di scambio informativo che riescono a lavorare bene, nonostante abbiano ricevuto un mandato molto limitato. C’è da dire che è ovvio che i gioielli di famiglia rimangono in famiglia. Poiché non c’è un’unità politica europea ed è ben lungi dall’esserci, ne consegue che ogni Stato tiene per sé la propria capacità informativa.
Tutti i membri dell’Unione Europea hanno un obiettivo comune, ma solo a un livello minimo. Più in particolare ciò che ci tiene uniti è una visione di massima sulla stabilità, l’efficacia e l’efficienza del nostro mercato UE. Pertanto si è delegato qualcosa a Bruxelles, ma il grosso degli interessi nazionali vengono gestiti da ognuno pro domo propria.
Occorre compattare e rafforzare l’Europa centrale. Il nostro è un continente che da sempre ha svolto il ruolo di cuscinetto tra gli interessi forti di una grande nazione, come quella russa, e gli interessi dell’Occidente.
Oltre a questo ruolo di mediatore, occorre far squadra e accrescere la cooperazione tra chi ha un’eredità culturale comune alla nostra. Il passato dell’Europa centrale è figlio dell’Impero austro-ungarico. Abbiamo dunque tutte le capacità di dialogare, nonostante le forti divisioni, e di trasformarci da cuscinetto in un vero e proprio ponte tra l’Europa e la Russia.
Occorre sostenere la cooperazione tra Mosca, Bruxelles e Washington, perché i nostri avversari comuni sono l’islamismo radicalizzato e la Cina autocratica. Sono due pericoli forti per il sistema geopolitico internazionale che noi insieme alla Russia e agli Stati Uniti possiamo coordinare e gestire.
L’Europa centrale per non smembrarsi e non essere un pericolo per se stessa e per gli altri paesi dell’UE, deve compattarsi e a diventare un ponte, deve ritagliarsi un ruolo centrale finalizzato a mitigare gli eccessi delle potenze che la circondano ed evitare che ci possa essere un conflitto tra loro.
I Balcani, invece, sono un flusso ben diverso che non possiamo far rientrare nell’Europa centrale e che va gestito insieme tra occidente e Russia perché è una zona instabile di per se stessa e, in un arco temporale prossimo, non risolverà le sue contraddizioni.
Sono terre piene di conflitti, per motivi religiosi, culturali, politici, persino per motivi innescati dalla divisione di imperi. Pertanto abbiamo due sole opzioni: la prima è che i Balcani rimangano fuori dall’Europa; la seconda è quella di farli entrare all’interno di una grande famiglia multiculturale, multi politica, multi sociale. In questa seconda ipotesi, l’Unione europea dovrebbe svolgere lo stesso ruolo che in passato ha avuto l’impero austro-ungarico: cercare di controllare le dinamiche negative e destabilizzanti dei Balcani e condurli a una dimensione di collaborazione o, per lo meno, di pacifica e duratura convivenza.
All’impero austro-ungarico, purtroppo, non è riuscito. Non è detto che riesca all’Unione Europea. C’è poco da essere ottimisti, ma tra le due possibilità occorre preferire la prima. E’ necessario provarci, pur sapendo che i Balcani sono zona di grave instabilità. Il rischio è che l’Unione Europea ne risulti stravolta, posto che tutte le tensioni internazionali, a ben vedere, possono essere ricondotte e ricollocate nella regione del Mediterraneo, specificatamente nei Balcani. Avere dentro l’UE un ambiente geopolitico molto instabile, che viene a sua volta sfruttato dalle grandi potenze alla bisogna, significa tenere un barile di polvere da sparo pronto a saltare in aria.
Il Professor Laris Gaiser si è fatto portatore di un catalogo di proposte molto specifiche che ha presentato in una conferenza del 2015 al Senato, grazie al Presidente Giacomo Stucchi. Si tratta di una lista di attività e provvedimenti che s’innesta sulla legge dell’intelligence del 2007, cercando di ampliarne la portata attraverso un sistema d’intelligence economica.
In quell’occasione, conducendo un’analisi da giurista, il Professore proponeva di ancorare l’intelligence economica alla costituzione italiana. Il dettato costituzionale italiano è perfetto e permette l’intelligence economica, perché si basa sul benessere del cittadino, sullo sviluppo sociale del cittadino, sullo sviluppo economico e sociale del paese. Tutti principi che bene si coniugano con il sistema d’intelligence economico, che in ultima analisi persegue il benessere del cittadino.
L’Italia, a livello governativo, manca assolutamente di programmazione già da oltre vent’anni. L’italiano medio sta diventando sempre più povero e il paese sta perdendo ogni giorno industrie e know-how; capitali e persone lasciano le loro regioni perché l’Italia dal punto di vista economico non è più un ambiente favorevole.
Lo Stato non ha fatto nulla per proteggere un sistema di produzione che è unico al mondo e che non può competere se non tutelato. Noi siamo gli unici al mondo ad avere il 97,5% di piccole e medie imprese, ossia di realtà che non sono in grado di combattere a livello geopolitico. Si deve pretendere che lo Stato abbia la capacità di comprendere il valore aggiunto di queste piccole e medie realtà, difendendo in maniera appropriata una così importante ricchezza.
Lo Stato italiano, invece, ha permesso l’invasione di capitali stranieri, guidati da interessi statali, soprattutto francesi, e ha finito per svendere tutto. L’imprenditore che non è sostenuto da un sistema paese, giustamente farà le scelte che gli permetteranno di non soccombere e chiudere.
L’Italia è un paese dalle grandissime potenzialità non espresse, gestito malissimo, a cui basterebbe veramente poco per ripartire ed essere altamente rispettato a livello internazionale. Purtroppo oggi è visto come un paese medio in decadenza, con un’influenza nella geopolitica altamente limitata e, nelle more della politica, stiamo perdendo, non solo il nostro dinamismo interno, bensì anche quello internazionale.
I governi italiani devono iniziare a ragionare in termini strategici di lungo termine e non più di politiche di mero tornaconto personalistico e immediato. Non è più tempo per politicanti, abbiamo bisogno di statisti seri.